MESSINA-Madonna_Lettera1
L’immagine venerata nel Duomo di Messina venne collegata strettamente al culto della Madonna della Lettera fin dal suo arrivo a Messina. Di questa immagine mariana furono eseguite numerose copie più o meno fedeli, alcune delle quali ancora a noi pervenute. Anche in qualche Chiesa di rito Greco-Ortodosso erano presenti tali immagini denominate Madonna del Graffeo ma con lo stesso significato di Madonna della Lettera, un celebre esempio è quella un tempo presente nella Chiesa della Cattolica. L’immagine della Madonna della Lettera fu oggetto di grande devozione non solo nelle auliche redazioni esposte nelle chiese, ma anche in numerose icone eseguite per uso privato. I dipinti ebbero nei secoli le stesse caratteristiche iconografiche e stilistiche dei prototipi più antichi, come del resto è dimostrato dalle cosiddette icone cretesi-veneziane importate a Messina dai frequenti contatti intrattenuti fin oltre il XV e XVI secolo con l’Oriente Bizantino e con il versante adriatico (Francesca Campagna Cicala La Madonna della Lettera nelle arti figurative in Arte, Storia e Tradizione nella devozione alla Madonna della Lettera Messina 1995, pag. 26). Nelle famiglie messinesi più agiate, presso i grandi e ricchi palazzi patrizi, non poteva mancare una immagine della Celeste Patrona, vero e proprio segno di protezione ed d’identità. Trattasi di opere eseguite soprattutto da madonneri locali, che dipingevano alla maniera greca, ma anche di prototipi veneto-cretesi diffusi in tutto l’occidente cristiano fin dal XVI secolo. La presenza di un discreto gruppo di dipinti testimonia l’importanza assunta dal culto della Madonna della Lettera (Grazia Musolino Le Icone Votive Messinesi in Iconae Messanenses Messina 1997, pag. 158-159). La circolazione di questa particolare tipologia iconografica, caratterizzata da connotati formali e fisionomici che spesso si ripetono sia nelle espressioni pittoriche che in quelle plastiche, si deve addebitare anche all’influenza determinante delle incisioni in area locale di Placido Donia pubblicata nell’Iconologia del Samperi.  In modo particolare intorno alla metà del Seicento, in conseguenza dei coevi ritrovamenti di numerose copie del testo della Sacra Lettera, si intensificano le immagini in cui compare l’attributo della Lettera. Questa viene raffigurata come foglio dispiegato retto dalla Vergine che lascia intravedere il testo o collocata alla base del quadro all’interno di un riquadro decorato secondo il gusto del tempo.  Questa nuova versione fu codificata intorno al terzo decennio del XVII secolo, al fine di convalidare con una iconografia adeguata la tradizione messinese. Tuttavia è opportuno sottolineare che il famoso prototipo dell’Odigitria, attribuito all’Evangelista Luca, presenta spesso, parallelamente all’impostazione consueta, la versione con il piccolo Gesù che stringe con una mano il rotolo della Nuova Legge e con l’altra benedice. Pertanto in virtù di questa concomitanza agiografica i messinesi attribuivano significati attinti alla tradizione locale anche ai dipinti la cui iconografia non era stata in origine ideata per l’immagine nostrana, è un esempio la Madonna del Graffeo oggi conservata al Duomo ed un tempo alla Cattolica. A partire dalla fine del Seicento l’iconografia della Madonna della Lettera si arricchisce di nuove rappresentazioni affidate agli artisti di maggiore fama.  Queste innovazioni nel rappresentare la Celeste Patrona della Città sono collegate a miracolosi interventi della Madonna della Lettera attraverso una serie di prodigi che salvarono la città da calamitosi accadimenti naturali come terremoti, pestilenze, carestie. Determinante per nuove raffigurazioni fu anche lo spostamento della festa con un decreto senatoriale del 1636[1] al 3 giugno, giorno in cui si ricorda la consegna della Sacra Lettera della Vergine ai Messinesi. Un notevole incremento alla produzione di sempre più immagini è da attribuire al ritrovamento di alcune copie della Sacra Lettera a conferma della pia tradizione. Presumibilmente in questo periodo, quando venne dato a Simone Gullì l’incarico di costruire il nuovo sontuoso altare con il grande baldacchino bronzeo che doveva contenere il miracoloso ed antico dipinto, si volle dare una più articolata esposizione narrativa dell’evento sui presupposti storici che la recente letteratura aveva nel frattempo sviluppato.  L’artista messinese Barbalonga intorno agli stessi anni realizzò una delle nuove versioni iconografiche più famose, poi ripetute con infinite variazioni dai pittori contemporanei e da molti artisti negli anni successivi. Tale opera è citata dal Samperi nella sua Iconologia ed egli sottolinea con particolare risalto la grande novità del dipinto commissionato dal Senato cittadino per decorare la Cappella del Palazzo di Città: «la moderna immagine della Beata Vergine della Lettera fu fatta a pubbliche spese e da i Senatori nella Cappella del Senato, affinché la loro Regina signoreggiasse in quel palazzo ed assistesse al governo della città: e la dipintura e disegno di quel quadro, a maraviglia ingegnoso, è opera di Antonio Barbalonga messinese, famoso dipintore da cui sono state ricavate infinite copie e sculture» (Placido Samperi Iconologia della Gloriosa Vergine Madre di Dio Maria Protettrice di Messina Messina 1644, pag. 137). Il dipinto, studiato per realizzare il contenuto in un linguaggio misurato di evidente matrice classicista e che non nega tuttavia qualche brano di piana emozionalità nel tradurre in forme semplici l’effusione dei sentimenti, rappresenta la Vergine nel momento in cui porge agli ambasciatori la Sacra Lettera. In tale opera l’intento informativo, sottolineato da una delle figure del seguito, che aprendo il rotolo fa scorgere la città di Messina con il suo stemma, viene celebrato dalla solennità conferita all’ambientazione. La Vergine, raffigurata come Regina, siede in un tempio di maestosa architettura, rallegrato da una gloria di Angeli in alto, e reso solenne dalla presenza di San Paolo, in piedi accanto alla Vergine, circondata da premurose figure angeliche. Il dipinto ebbe grande risonanza e fu tra l’altro riprodotto in un’incisione dell’Iconologia del Samperi. Il Susinno, storico e biografo dei pittori messinesi, ci informa che l’opera fu trasferita in Spagna, insieme a tanti altri importanti dipinti, dal Viceré Conte di Santo Stefano durante la repressione della Rivolta antispagnola di fine Seicento[2]. Indubbiamente fu oggetto di repliche da parte dello stesso pittore, una di queste completata prima della sua morte e custodita fino al 1908 all’interno del Duomo. Oggi fa parte delle collezioni del Museo Regionale ma è in deposito presso il Municipio di Messina, ed è di grande interesse per gli spunti elaborati da altri pittori (Francesca Campagna Cicala La Madonna della Lettera nelle arti figurative in Arte, Storia e Tradizione nella devozione alla Madonna della Lettera Messina 1995, pag. 28-29). A volere citare i nomi di alcuni artisti impegnati ad eseguire opere con questo soggetto, così come ci tramandano le fonti e per quello che a noi rimane di queste opere, si può ricordare il Rodriguez, che aveva dipinto la Madonna della Lettera con San Placido, o anche Antonio Catalano il Giovane, che nella prima metà del secolo, nella Chiesa di San Paolo aveva espresso con un linguaggio manierista, già influenzato da esiti accademizzanti nell’impianto classicista dell’intera composizione, l’«Immagine di Nostra Donna che porge l’epistola agli ambasciatori messinesi alla presenza di alcuni angioli e di S. Paolo». Sul tema dell’Ambasceria si cimentarono pittori locali come Marolì, il Celi, il Bova, lo Scilla, il Gabrielli ed tanti altri ed anche di risonanza continentale come Mattia Preti, di cui rimane al Museo la splendida interpretazione concepita con una maniera pittorica intrisa di esperienze napoletane, romane ed emiliane, rese secondo piani luminosi che definiscono la composizione con forti effetti di controluce e con un senso di spazialità già barocca. Al di là di queste redazioni, un più ampio spazio si volle dare all’intero ciclo riguardante i diversi episodi legati alla vicenda dell’Ambasceria nel principale luogo di culto dedicato alla Madonna della Lettera, l’altare maggiore del Duomo. Ad affrescare il coro della Cattedrale con questi episodi venne chiamato, in un primo momento, Pietro Novelli, presente a Messina poiché impegnato in opere di ingegneria. Il pittore monrealese però rinunciò ad eseguire gli affreschi quindi, il Senato di Messina affidò l’incarico a Giovan Battista Quagliata «per dipingere la gran tribuna della Chiesa Madre al di sotto del mosaico, per maggiore abbellimento della cappella della Sacra Lettera». Il pittore, allora molto noto e ricercato, cominciò la sua opera quasi certamente dopo il 1652, quando aveva già affrescato le Storie delle Metamorfosi nel Palazzo Reale, e segue in parte lo schema già fissato dal Novelli. Affresca così quattro ampi riquadri raffiguranti il Martirio di San Placido, l’Ambasceria dei Messinesi alla Vergine, la Santificazione di Sant’Alberto Carmelitano e la Predica di San Paolo Apostolo ai Messinesi, all’interno di un’importante intelaiatura architettonico-decorativa illusionisticamente dipinta con nicchie e statue in finto marmo. Di questa opera di concezione grandiosa e di esecuzione mirabile, quale traspare dall’entusiasta ricordo del Susinno e del Grosso Cacopardo, resta ormai soltanto una frammentaria documentazione fotografica, eseguita dopo il terremoto del 1908. Tale documentazione è sufficiente, tuttavia, a far rimpiangere la perdita di un’opera maestosa, in cui il Quagliata aveva voluto esprimere il meglio di quella sua pittura illusionistica calcolata tra l’emergere delle forme solide e compatte ed una luce limpida ma calda. Un impegno così grande dà la misura della diffusione del culto che la maggiore tradizione religiosa andava assumendo. Non è evidentemente possibile seguire le molteplici interpretazioni che il vasto e suggestivo soggetto ha ispirato nella fantasia e nei modi pittorici degli artisti, in relazione anche alle esigenze di una committenza che in esso individuava o incarnava il simbolo della prima e più importante tradizione cittadina. Accanto a queste rappresentazioni che si avvalgono del pieno linguaggio pittorico occidentale proiettato nella limpida orchestrazione degli schemi classicheggianti o nel più fluido disporsi degli elementi narrativi nella vasta spazialità di senso barocco, ne persistono, sia pure isolate, alcuni dipinti che riprendono le antiche immagini della Madonna della Lettera. Queste opere si rifanno sempre a tavole di provenienza bizantina, in cui la scritta, “veloce ascoltatrice o consolatrice”, aveva trovato ampia diffusione nei secoli passati. Esemplari della ripresa di un motivo di più antica tradizione, oggi conservati al Museo Regionale, sono: una grande tavola firmata e datata 1667 da Giovanni Moscu, pittore cretese-veneziano, ed una tavola di più piccole dimensioni, che ripete i caratteri stilistici ed iconografici di un più ampio prototipo esistente un tempo nella Chiesa di San Nicolò dei Greci, riprodotto in una incisione dal Samperi, in cui la Madonna regge in braccio il Bambino che reca tra le mani il cartiglio in cui è trascritta fedelmente la lettera ai Messinesi. Il rifiorire di questa iconografia, probabilmente mai abbandonata, risponde al carattere conservatore di una devozione popolare, ma anche, come spesso indicano le provenienze, alle raffigurazioni proprie della religione greco-ortodossa, inoltre riveste una sottile motivazione quella dell’antichità dell’immagine identificata che nello stesso tempo comprova l’antica origine del culto stesso. Nel rinverdire fratellanze ed alleanze con altre città della Sicilia, come Siracusa e soprattutto Trapani, quale supremo omaggio venivano inviate le copie del più antico dipinto conservato nella Cattedrale, «immagine insigna non meno per essere originale di S. Luca Evangelista, ma parimenti per li continui e spettacolari miracoli». Si ritrova nella narrazione di Caio Domenico Gallo il “Ragguaglio della solennissima festa avvenuta nel Maggio del 1726, nell’atto di inviare in donativo alla città di Trapani l’immagine venerabile di Maria SS. della Sacra Lettera, per rinsaldare la reciproca benevolenza, ed il legame di affetto, con il quale sempre sono state vicendevolmente legate Messina e Trapani”, e prosegue lo storico «così profonde radici di tanta affezione non hanno potuto essere svelte, né dal rivolgimento dei secoli, né dalla catastrofe miserabile di così vari accidenti che mutando l’ordine delle cose, hanno ossuto ridurre a stato lacrimevole così bella città della Sicilia qual è Messina; quale può vantarsi di esistere, mediante la protezione della Vergine Sacrosanta, che nel suo venerabile foglio vergato di propria mano li fu promessa…questa protezione è stata quella che recando stupore non solo ai popolo circonvicini, ma alle più remote nazioni del mondo, ha inviato e gli uni e gli altri a rifugiarsi sotto l’ombra del foglio sacrato della Vergine, e per partecipare di tal pregevole e salutare patrocinio». Ed il Senato, ansioso di corrispondere al desiderio dei Trapanesi, ordinò a sue spese una copia al pittore Antonio Filocamo, ornato dipinto con una cornice simile a quella nuova che si andava fabbricando per l’originale nel Duomo di Messina. Lo storico ancora si dilunga nella narrazione della solenne e sontuosa cerimonia allestita per trasportare l’immagine sacra al porto di Messina, accompagnata da un grande corteo di popolo, al suono di trombe e mortaretti, fino alla barca che doveva portarla al bastimento diretto a Trapani. Queste manifestazioni di fede, assecondate e favorite dalla classe dirigente, si mescolavano alle numerose altre ricorrenze in cui si celebrava il culto della Madonna della Lettera. Numerose sono poi, soprattutto dal secolo XVIII, la rappresentazione della Madonna della Lettera con accanto Santi Compatroni della Città e non solo, che rinnovano efficacemente l’iconografia della Patrona di Messina. In particolare nel settecento si hanno alcune nuove versioni della rappresentazione della Vergine della Sacra Lettera. La Madonna viene infatti, raffigurata da sola senza il Santo Bambino con la lettera in mano e con la mano benedicente. Tale iconografia si svilupperà maggiormente soprattutto nel ventesimo secolo con la realizzazione della statua argentea processionale, opera di Lio Gangeri, e la grande statua della colonna votiva del porto, opera di Tore Calabrò. Contemporaneamente si trovano nuove versioni che utilizzano l’iconografia tradizionale della Madonna col Bambino con o senza lettera in una versione più moderna che di antico conservano forse solo la scritta in greco riportata a destra e a sinistra dell’immagine sacra.


[1] Questo decreto stabilisce anche precise modalità per lo svolgimento delle celebrazioni, vedi Caio Domenico Gallo Annali della città di Messina Napoli 1755, pag. 267-269.

[2] Francesco Susinno Le Vite dei Pittori Messinesi (1724) Firenze 1960, pag. 155.